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mercoledì 1 settembre 2010

John & Jack



Questo libro raccoglie gli ultimi lavori di Jonathan Macini e Jack Lombroso, due autori crudi e sofferenti che riversano nelle loro storie tutta la loro rabbia per la società bugiarda nella quale viviamo. Il loro descrivere situazioni morbose è un modo per esorcizzare i mali del mondo.
Il libro si apre con un racconto a quattro mani iniziato alla fine del 2009 e rimasto incompiuto a causa della scomparsa di Jack. Non si hanno infatti sue notizie da svariati mesi. Lombroso è sempre stato un personaggio sfuggente. È riapparso qualche anno fa dopo più di una decade di vita borderline, ma tutti sapevano che non sarebbe durata. L'alcol, la droga, la depressione, e chissà quale altro mostro, hanno reclamato la sua anima. Jonathan non se l'è sentita di chiudere il racconto da solo e ha deciso di lasciarlo così, come la vita di Jack Lombroso, senza un inizio e senza una fine.

GM Willo – 26 Agosto 2010

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Fonte: Edizioni Willoworld

mercoledì 30 giugno 2010

LA BALLERINA

Girava, saltava, si contorceva soltanto per me. In sogno veniva a trovarmi ogni volta che che lasciavo le porte della mente spalancate. Questo succedeva di solito quando non ne potevo più dell'ufficio e me ne andavo in campagna, a casa di Guglielmo. Lui mischiava fiori esotici a radici campestri. La tisana faceva rilassare ed apriva la mente, a quanto diceva il mio amico, ed allora arrivava la ballerina.
Potevo distinguere un arco dietro di lei, e più oltre una scura foresta. Sapevo che la foresta significava qualcosa di definitivo, ma non specificatamente qualcosa di brutto.
“Intratteniamoci insieme, fino a quando durerà...”

Jonathan Macini per La Giostra di Dante e 101 Parole

Illustrazione di Charles Huxley

domenica 8 novembre 2009

LO STRANO CASO DELLA SIGNORINA PARISI

La Terra scrive sul mio corpo.
La gente ammira i miei tatuaggi, segni tribali e simboli simmetrici, poi mi chiede chi me li abbia fatti ed io rimango interdetta. Mi piacerebbe dire loro la verità ma non posso perché mi prenderebbero per matta. Allora m'invento qualcosa per non destare sospetti.
L'ultimo di questi, una serie di cerchi concentrici all'interno di un triangolo (anche se secondo me si tratta di una freccia), me lo sono fatto in Portogallo la scorsa estate. È questo quello che ho raccontato in giro e i miei amici l'hanno bevuta. Se invece sapessero la verità, probabilmente smetterebbero di chiamarmi e mi consiglierebbero un buon dottore. Ma io non ho bisogno di dottori, sto benissimo. Anzi, non mi sono mai sentita meglio.
Ammetto che all'inizio la faccenda mi disturbava alquanto. Svegliarmi sudata nel mio letto dopo strani incubi che non riuscivo mai a ricordare, e poi guardarmi il corpo allo specchio per scoprire se il sogno aveva lasciato il segno, come succedeva quasi sempre. Sono due anni che va avanti questa storia, esattamente dal giorno in cui mi persi nel bosco. Proprio come Pollicino, dannazione... continua...

giovedì 22 ottobre 2009

Il seme dell'odio: Capitolo II -I want you-



Un romanzo breve di:
Jack Lombroso & Jonathan Macini

Ogni settimana un capitolo tutto per voi,
qua su Novocaina
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- I want you! –

Sembrano passati anni da quel giorno nel deserto, ed invece sono solo tre mesi che condivido il segreto. Cazzo, sarà stato il caldo, o forse l’alcool. Sarà stato il fatto che eravamo dentro l’inferno… E non è una cazzo di metafora. I want you!. Bello sorridente George ti invita nel glorioso esercito. La solita foto stronza che usano ogni volta, per raccattare carne… Carne senza cervello. Ti dicono che lo fai per la patria, che lo fai perché la libertà si veste di rosso bianco e blu. E tu ci credi. Non ti sforzi nemmeno, dopotutto che altro avrei potuto fare dopo il college. Lavorare nella ditta edile di mio padre?. E allora in marcia, insieme ad altre uniformi uguali alla tua. Sei un soldato adesso amico, non più un individuo.
E poi di colpo ti ritrovi laggiù. Un caldo soffocante, rovine di edifici e rovine di persone. Quei negri del deserto si nascondono ovunque. Si nasconderebbero anche in culo ad un cammello se potessero. A loro basta farti fuori. Perché non capiscono che noi siamo là per portare la libertà, la democrazia.
Passano i giorni e non succede niente. Te ne stai rinchiuso nelle tende, sdraiato sulla branda accanto ad altre divise uguali alla tua. Centinaia di divise, tutte uguali alla tua. E le idee, i principi che avevi? Ti accorgi di aver lasciato tutto a casa, insieme al fottutissimo pollo fritto di tua madre. E poi le guardie alla polveriera, i checkpoint da tenere sotto controllo. Ore e ore sotto quel caldo d’inferno. E se non si fermano all’alt gli devi sparare ai beduini. Eppure c’è anche scritto che si devono fermare all’alt, c’è scritto anche in quella loro maledetta lingua. Poi mi collego ad internet e scopro che la maggior parte di loro non sa leggere. Che cazzo di gente… I negri del deserto.
Nelle tende circola alcool e anfe. Nessuno sa da dove arriva eppure ce n’è quanta ne vuoi. Ogni tanto trovi anche un po’ d’erba, ma quella è roba da comunisti fricchettoni. Io non voglio che mi si addormenti il cervello, devo rimanere sveglio. Attivo. Sono un cazzo di marine. IO.
Nelle tende circolano anche giornali pornografici. Non ricordo nemmeno più l’odore della pelle di Jenny da quanto non la vedo. Confondo la sua faccia con quella della bionda sul paginone centrale, e allora chiudo gli occhi e non so più su chi mi sto eccitando.
Jeremy mi sveglia dal tiepido sogno. Mi sveglia con un calcio alla branda. Accanto a lui c’è Bud, il texano. A lui piace stare qua. A lui piace da morire tirare il grilletto. Ha ucciso tre negri del deserto da quando è qui. Lo avrà ripetuto mille volte, vantandosi di come li aveva stecchiti. Qualcuno dice che due dei tre che Bud ha fatto fuori erano una donna che scappava con un fagotto in mano. Bud era alla mitragliatrice del checkpoint sud. La donna non si è fermata a l’alt e Bud ha sparato. Pensava che fosse una kamikaze e il fagotto una bomba. Correva per raggiungere il medico che abitava al di la del checkpoint, perché il figlio che stringeva al petto aveva la febbre alta. Questo sembra aver raccontato il marito. Neanche lui, come la moglie, sapeva leggere.
- Allora David, ti vuoi muovere? Alzati dalla branda che usciamo. Tutti e tre…  – Bud sorride mentre Jeremy continua a dondolarmi  con l’anfibio. – Usciamo? Dove? Oggi non siamo di pattuglia  – Ho gli occhi ancora appiccicati dal sonno. Mentre mi tiro su sento che la maglia dietro la schiena è completamente fradicia di sudore.
- Niente pattuglia amico. Dobbiamo unirci al convoglio che è già giù in città. Sembra che hanno trovato un covo di ribelli e vogliono entrare -.
E allora ti tocca a muovere il culo,  marine. Ti alzi, ti prepari veloce, come ti hanno insegnato, e nemmeno due minuti dopo sei in assetto da battaglia. Ritiri il fucile all’armeria e monti sulla jeep che guida Burt. Sgomma alzando un polverone ed esce dalla base. Passa rasente ad un gruppo di bambini che saltano di lato appena in tempo. Ti volti giusto un attimo per guardarli e sei già sulla strada principale.
Il blitz si rivela un buco nell’acqua. Dentro la casa non ci sono altro che due vecchi. Vengono presi in consegna dal convoglio e noi veniamo rispediti alla base. Ci hanno fatto vestire per niente, quelli stronzi.

domenica 18 ottobre 2009

Il seme dell'odio: Capitolo I -A casa-


Un romanzo breve di:
Jack Lombroso & Jonathan Macini

Ogni settimana un capitolo tutto per voi,
qua su Novocaina
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PRELUDIO

- Soldato David Norton -

Non vi hanno mai parlato del macello di Falluja? No, certo che non l’hanno fatto. Maledetti loro! Una festa di sangue di proporzioni inaudite, un evento spregevole superbamente coperto dalle televisioni. Coperto nel senso di sotterrato. Capite, vero?
Ma di macelli laggiù ce ne sono stati tanti, e ce ne saranno ancora. Alcuni di questi non vengono neanche riportati dai giornalisti freelance, mentre altri rimangono segreti. Sono i segreti che migliaia di reclute si portano a casa. Incapaci di credere ai loro stessi gesti, si convincono di non aver mai fatto niente del genere. Sono i semi dell’odio, quelli raccolti oltreoceano e piantati in terra natia. Crescono e mettono i frutti, migliaia di bombe pronte ad esplodere.
Vi parlerò della mattanza alle grotte del deserto, poco fuori Falluja. Quello è un segereto che conosciamo solo io e i miei amici… Tre mesi dopo ho lasciato una volta per tutte quel dannato paese. Coltiverò il mio germoglio a casa mia.
Il mio nome è David Norton, e ho un incarico importante da portare a termine, lentamente, un pezzo alla volta. Volete seguirmi? Volete sbirciare oltre il lenzuolo, quello che ricadendo fa risaltare la sagoma del cadavere? Siete pronti?
Il sipario di sta alzando.
Lo spettacolo ha inizio.



- A casa -

Il ronzio del bimotore mi avverte che siamo pronti ad atterrare. Benissimo. Non ce la facevo più. Sono quasi trentasei ore che vengo sballottato da una parte all’altra del mondo. Tre continenti, cinque stati, due aeroporti internazionali e mille dannatissimi controlli. Dal finestrino riesco a scorgere il lago. Il velivolo incomincia la discesa. Eccola lì; un buco di culo in riva all’acqua. Eire, Pensilvanya, Stati Uniti. Ci sono nato, ci sono cresciuto, e fino a pochi mesi fa avrei giurato che ci sarei anche schiattato in quella fogna. Ma adesso non so più…
L’aria è quella di casa mia. Mi rigenera il fisico, ma non riesce neanche ad avvicinarsi all’intimo. L’intimo è perduto per sempre. Si è dissolto quel pomeriggio di tre mesi fa, tra la sabbia del deserto e l’odore della cordite.
Mia madre mi viene incontro. L’abbraccio, o almeno ci provo. È ancora più grassa, forse ha superato i cent’ottanta chili. Mio padre, una manciata di libbre in meno, sorride dietro di lei. Indossa la solita giacca verde con la bandierina in bella mostra. Si, la bandierina del cazzo, che sventoliamo sotto il naso di tutti, spacciando dosi mortali di libertà. Vi liberiamo noi. Certo, Bang! Sei libero fratello…
Abbraccio anche il vecchio. Mi stringe come per farmi capire che adesso sa che sono diventato un uomo. Mi viene la bizzarra idea di dargli un calcio nelle palle e spappolarli il cranio con un mattone.
Mentre ci dirigiamo verso il suv, la grassona mi dice che ha preparato del pollo fitto, come piace a me. Mio padre mi informa che stasera c’è la partita. Assolutamente imperdibile. Sprofondato nel sedile posteriore, guardo fuori dal vetro e vedo scorrere l’asfalto. Attraversiamo la città, duecentomila anime davanti al televisore. Un cane che abbaia da dietro il recinto. Un ragazzino in bici. Tutto così tranquillo…
Quando arriviamo mio padre mi sveglia. Dormivo come un bambino, con la testa appoggiata al finestrino dell’auto. Si, da qualche giorno mi addormento così, senza accorgermene. Non sogno. Cado. Tocco l’abisso. C’è tanta serenità laggiù.
La cena, il pollo, la partita di baseball, papà che mi confessa di quanto sia fiero di me, mamma che piange perché è così felice di avermi di nuovo a casa. Le nove, le dieci, le undici. Finalmente sono a letto. Le ultime ore sono state ancora più orribili del volo. Voglio dormire. Tornare nell’abisso, dove non esiste niente.

Uova col bacon davanti alla TV. Un bicchiere di latte scremato. Gli usignoli di papà che cantano nella loro gabbia appesa al porticato. Sono a casa.
Non ho programmi o, per essere più precisi, non ho programmi condivisibili. Lavoro, progetti, interessi. Niente. Riscuoterò l’assegno dell’esercito per i prossimi sei mesi, ma non credo che mi servirà così a lungo. Qualcosa mi dice che non ne avrò bisogno.
La mattinata la passo alla stazione degli autobus a guardare dei vecchi che vanno a trovare i parenti defunti al cimitero. Un pretesto come un altro per continuare a vivere. Potrei fare un salto al Dell’s, prendermi un caffè e fare due chiacchiere con quel cacasotto di Bernie, il barista. Chissà come mi è venuta in mente una cosa del genere. No, quello l’avrei potuto fare prima di Falluja. Era una cosa che faceva l’altro David.
Vorrei allungare le notti vuote, dilatarle il più possibile. Ma per farlo ho bisogna di nuove celebrazioni, annientare l’intimo per toccare l’abisso. E dormire.
Siete confusi? Non preoccupatevi. Tra poco vi sarà tutto chiaro. Tra poco arrivano le sei, l’ora giusta per fare del male. Come quel giorno nel deserto…

Un pessimista è un ottimista ben informato