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La Babele di Carne e Catrame è un racconto misto a elaborazioni grafiche di Charles Huxley,
che vi condurrà in un attualissimo futuro.
Edito dalla Edizioni Willoworld attraverso il servizio di autopubblicazione Lulu,
é il secondo lavoro di Valentino Vannozzi, dopo la raccolta di poesie e pensieri intitolata
Alla Ricerca del Dio Senza Croce.
che vi condurrà in un attualissimo futuro.
Edito dalla Edizioni Willoworld attraverso il servizio di autopubblicazione Lulu,
é il secondo lavoro di Valentino Vannozzi, dopo la raccolta di poesie e pensieri intitolata
Alla Ricerca del Dio Senza Croce.
Novocaina vi ripropone questo racconto pubblicando un capitolo alla settimana.
Buona lettura...
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Non ricordo perché ero lì, né perché bevessi così tanto. Come di rientro da un sogno mai iniziato, mi guardai intorno, il bar era vuoto, le luci soffuse del locale regalavano un senso di pace. La birra davanti a me si era scaldata… strano. Non ricordo quanto avessi bevuto e speravo che anche il barista lo avesse dimenticato, perché quando mi alzai dallo sgabello tutto intorno a me si mise a girare; segno che il conto si era notevolmente elevato. Le vetrine del vecchio bar davano su una strada del centro, una come tante, dalla storia dimenticata e dal forte odore di urina. Pagai, sfortunatamente il barista ricordava tutto quello che avevo ordinato.
Con pochi spiccioli e qualche sigaretta in tasca, alzai il bavero del mio cappotto ed uscii. Plumbea era la città quel giorno, come se gli unici colori fossero soltanto le tonalità di grigio.
Non ricordo perché uscii di casa quel pomeriggio, né perché avessi bevuto così tanto.
Certe volte ti chiedi se stai ancora camminando o se è solo il mondo attorno a te che si muove, come un videogioco impazzito. Non era certo l’alcool a fare quello strano effetto, purtroppo.
Senza rendermene conto, mi ritrovai a seguire una scia di persone, non sapevo dove fossero dirette, ma sentivo una sensazione di sicurezza nel farlo, nel seguire quella folla mansueta.
Mi ritrovai nel mezzo di un mercato, sembrava antiquariato quello che esponevano le bancarelle. Girellai un po’ guardando distrattamente la paccottiglia stesa sui banchi; vecchi televisori al plasma erano ammucchiati accanto a obsoleti supporti Blu-Ray, tute e visori per la realtà virtuale si impolveravano insieme ai caschi per i neurosogni, oggetti che ormai interessavano solo i collezionisti. Dall’avvento dei chip subdermali tutta questa roba era solo storia passata. Erano iniziati come segnalatori GPS per ritrovare gli animali scomparsi, poi i chip vennero introdotti nella lotta alla criminalità, innestati obbligatoriamente con una semplice siringa sotto l’epidermide di carcerati e delinquenti vari, da lì alla vendita al dettaglio il passo fu breve. Madri che innestavano il chip ai figli, per paura dei rapimenti da parte dei trafficanti di organi, innestati ai corrieri delle più disparate aziende, a Vip “privilegiati” per evitare code e pagamenti. Con un chip subdermale potevi pagare una bevuta in discoteca senza lo scomodo dei contanti o essere ritrovato dall’altra parte del mondo, con un click.
Chissà perché non ero rimasto in casa quel pomeriggio. Mille dialetti, lingue, parole sconosciute, si diffondevano nell’aria densa di odori. I venditori di kebab dispensavano profumi gratis e sapori a poco prezzo. Chissà che effetto avrebbe fatto un gesto inconsueto, un segno dimenticato… chissà che effetto avrebbe fatto in questa cacofonica folla. La grande rivolta dei sobborghi era stata repressa nel sangue da pochi giorni, ma lo stato di allerta delle forze dell’ordine era ancora evidente, ad ogni angolo coppie di poliziotti scandagliavano la gente con i decodificatori per trovare possessori di software non registrati. Passai sicuro davanti a due di loro, Doc aveva fatto un buon lavoro, il mio chip non fu rilevato.
Entrai in un piccolo negozietto che vendeva birra turca e kebab, invogliato dall’ologramma pubblicitario sulla porta, la parete una volta bianca, adesso era gialla di nicotina. Erano già otto anni che si poteva di nuovo fumare, praticamente ovunque, da quando le multinazionali del tabacco avevano vinto la causa contro le leggi antifumo, installando gratuitamente i filtri bronchiali ai non fumatori. Qualcuno sosteneva che i filtri stimolassero l’acquisto di determinati prodotti, si diceva anche che fosse stato l’accordo prezzolato tra le multinazionali e il dipartimento per la tutela dei consumatori. Che fosse proprio questa la mossa vincente per l’ abrogazione delle leggi antifumo, ma erano solo voci che correvano in rete, smentite più volte dalle delegazioni di portavoce delle multinazionali.
Contai gli spiccioli rimasti, sette crediti, una miseria… osservai quelle strane monete di silicio, i loro ologrammi, il simbolo del Governo Antiterroristico Democratico Unito, quanto fosse difficile ormai contraffarli, mi resi conto di quanto il piano era riuscito, un unico popolo mondiale, un unico popolo di consumatori.
La carne, che ormai veniva allevata nelle bio-fattorie aveva tutta pressappoco lo stesso sapore, tenera, succosa e completamente sintetica. Le proteine e le sostanze nutrizionali venivano inserite solo nei tagli più pregiati, quelli più costosi, quelli che pochi potevano permettersi. Nei contenitori delle bevande alcoliche erano stati inseriti, ormai da qualche anno, i chip per l’annullamento del tasso alcolico nelle situazioni di divieto.
Durante le manifestazioni o le sommosse, sempre più frequenti, i chip intervenivano automaticamente rilasciando nella bevanda una sostanza che ne inibiva altre, lasciando il prodotto totalmente analcolico.
Quel giorno non era in vigore nessuna restrizione, fortunatamente.
Mi sedetti e feci il mio dovere di consumatore.
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