sabato 13 marzo 2010

IL CAOS



Il caos è quella cosa chi mi entra in testa alla mattina, appena apro gli occhi, e me la ritrovo accanto di notte, prima di chiuderli. Il caos è il mio fratello siamese. Il caos è la mia palla al piede, un fastidioso appendice del mio vivere quotidiano. Vorrei liberarmene ma non ci riesco, anzi ne sento quasi il bisogno.

Il caos è quella sensazione che mi invade quando cerco di dare un senso agli affari del mondo. Quando mi metto a leggere le notizie e non le capisco, non perché siano complesse, ma perché mi confondono, perché ribaltano i miei ideali, le mie prospettive, le mie priorità.

Il caos lo percepisco quando osservo i soliti politici fare finta di avere a cuore i loro elettori, quando mi accorgo che il potere di coinvolgimento degli idoli dello spettacolo è inversamente proporzionale alla qualità del loro messaggio. Me lo sento entrare nelle vene quando assisto alle solite ingiustizie, conscio delle loro cause e dell'identità dei colpevoli. Il caos è come un ombra gelida che ottenebra il sole quando mi viene detto di pensare solo in termini di male e di bene.

Il caos ce l'ho accanto mentre prendo il caffè. Mi sussurra: “si, l'amore, l'amore, l'amore... tutte stronzate. A nessuno frega un cazzo dell'amore!” Come un nano gobbo con una vocina stridula, ripete ininterrottamente queste frasi. Cerco di ignorarlo, ma la voce s'insinua, corrode, falcia chiedendo attenzione. Il caos ha tutto il tempo che vuole per divorarmi...

Il caos siede nella mia auto, ma sui sedili posteriori. Distende le gambe, puntella sul vetro i tacchi dei suoi stivali da cowboy, lasciando segni di grasso. Mugola, intonando una canzoncina di cui non riesco ad afferrare il ritornello. Allora accendo la radio, alzo al massimo il volume, ma la vocina posso ancora sentirla. È un cucchiaino che penetra l'orecchio, affonda nella massa molliccia del mio cervello e ne stacca un pezzetto, come fosse un tartufo bianco. Il caos mi sussurra che è tutta una bugia, che pure la verità è una bugia, e che anche lui è una bugia.

Il caos è nel cassetto della scrivania, nel mio ufficio. Non dorme, attende. Sa che prima o poi lo aprirò e gli chiederò qualcosa. Rovista tra le carte, le matite, la spillatrice, una busta vuota, un bianchino per correggere gli errori. “Sei sempre lì?” gli chiedo, ma è solamente una scusa per sentirlo vicino. Ne ho bisogno. Il caos è il mio carceriere, ed è il pretesto ideale per sentirmi migliore.

Il caos cena insieme a me ma non tocca cibo, non ne ha bisogno. Si sostiene attraverso di me. Mi parla del mercato, della democrazia, dell'inganno delle parole, della grande ruota e di un milione, anzi un miliardo di criceti impegnati a farla girare. L'appetito mi passa e mi trascino a casa, in auto, con la radio spenta ed il solito mugolio.

“È stata una lunga giornata. È meglio dormire adesso, che domani la ruota rincomincia a girare. Buonanotte Caos, dormi bene. Spegni te la luce?”

FONTE: I Silenti

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