lunedì 15 febbraio 2010

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Spara fucile, spara, che altro non sei che l'estensione d'acciaio del mio braccio, e per quanto cerchi di essere tutt'uno insieme a te, una comoda sensazione di distacco ci separa. Il mio dito fa solo il suo lavoro, il tuo grilletto è solo un ingranaggio, e anche la pallottola che esplode nel corpo del bersaglio altro non è che un oggetto innocuo, un gingillo di metallo e polvere nera. Tutte queste cose insieme danno esito a un evento di morte, ma è un risultato soggetto a troppe variabili, una catena infinita di comandi, responsabilità e conseguenze che, una volta davanti al fatto di sangue compiuto, perde significato. Le responsabilità si assottigliano. Le regole del sistema sussurrano le parole al politico che le rigira alla TV, vengono riprese poi dai miei diretti comandanti, che fanno la voce grossa per stemperare le mie emozioni. Il mio dito è il loro dito. Il grilletto del mio fucile reagisce all'occhio della cinepresa dell'ultimo telegiornale. La pallottola è l'indice del politico, e il sangue che sgorga dal petto squarciato del mio nemico è l'inchiostro con cui si stampa la moneta corrente. Ecco perché non oso abbassare la mira e voltare le spalle. È un gioco troppo più grande di me.


PICCOLE LETTURE CON CARNE DI CUORE TRITATA

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