mercoledì 24 febbraio 2010

L'anticamera



QUESTO RACCONTO È BASATO SU UNA STORIA REALMENTE ACCADUTA

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L'anticamera



Alex e Charles entrarono nel pub alla ricerca di una buona stout e di un bagno.

Tu ordina, io torno subito- disse Charles.

Poi, senza guardasi intorno, infilò la porta col cartello che indicava la toilette.


Alex si sedette al banco, su uno sgabello impagliato. Subito ebbe l’impressione di aver interrotto qualcosa, come di essere entrato sul più bello: ospiti inaspettati giunti nel momento meno opportuno. L’aria sembrava immobile. L’assenza di ogni tipo di rumore, un silenzio quasi innaturale, faceva risaltare ogni scricchiolio del vecchio sgabello.

Si guardò intorno come disorientato. Il vecchio al lato destro del banco, sollevò lo sguardo dalla pinta e glielo piantò in faccia.

-Salve- disse Alex, e solo allora si accorse della cicatrice che correva sulla parte sinistra del volto dell’uomo, interrotta soltanto dall’occhio completamente bianco e opaco. Il vecchio non rispose e tornò a bere la sua stout.


Charles non si trovò in bagno appena passata la porta, ma in un lungo corridoio pieno zeppo di fusti e casse di bottiglie di birra vuote, impilate fino alle travi del soffitto basso e scuro.

Un cartello vecchio di anni indicava ancora la strada per la toilette. Affrettò i passi, sollecitato dal bisogno impellente, sognando una intima stanzetta dove potersi liberare dalle quattro pinte che aveva già bevuto.

Il corridoio pareva non finire mai, sembrava diventare sempre più scuro man mano che si allungava. Raffiche di vento freddo entravano dalle finestre, quadrate e senza vetri, che correvano regolari sul muro destro. Charles rabbrividì per l’ennesima folata gelida e guardandosi intorno si chiedeva in quale singolare posto si trovasse. D’un tratto davanti a lui un ombra scura si staccò veloce dalle travi e due ali nere si aprirono davanti ai suoi occhi.

Il cuore sembrò fermarsi, ogni singolo muscolo si pietrificò, bloccando Charles sul posto come una statua di marmo.

Poi il piccolo uccello volò via da una delle finestre senza vetri. Charles riprese fiato e guardò verso il punto da dove era sbucato l’uccello. Un piccolo nido era nascosto tra la trave e il soffitto, sembrava che l’uccellino avesse trovato confortevole il corridoio di quello sgangherato pub, invogliato dalla facile possibilità di entrata e uscita fornitagli dall’assenza dei vetri.

-Irlandesi- sospirò Charles scuotendo la testa.

Dopo qualche passo ancora sembrava finalmente essere giunto alla fine di quel maledetto corridoio, sempre più freddo e buio. Una luce gialla usciva da una piccola porta sulla destra. Charles entrò.


Da una porta, sul retro del banco, uscì un anziana signora camminando in modo alquanto singolare.

Alex salutò gentilmente e ordinò due pinte. La vecchia sorrise appena e si girò per prendere i bicchieri con fare lentissimo, mostrando la gobba che la costringeva in quella strana postura.

Sempre più a disagio, Alex sperò che l’amico, ormai sparito da più di dieci minuti, tornasse al più presto e confidando nelle doti di bevitori quale erano, finire in fretta la pinta e uscire velocemente da lì. Non riusciva a spiegarsi perché, ma era ormai convinto che tutto intorno qualcosa si fosse fermato per causa loro. Solo non immaginava cosa.

I suoi pensieri furono interrotti dal pianto di una bambina, così improvviso che Alex saltò sullo sgabello, girandosi si accorse che oltre al vecchio orbo, nel pub, c’era anche una bambina, subito redarguita dalla donna accanto a lei dai lunghi capelli scuri e unti e dal viso scavato e smunto. Nell’angolo più lontano del locale un uomo robusto e palesemente ubriaco stava discutendo con una ragazza dall’aria sconvolta. Alex non sentiva bene cosa diceva il ragazzo ma gli sembrò di capire che si stesse scusando di qualcosa, incolpando alcool e gelosia. La ragazza continuava a fissarlo negli occhi sempre più sconvolta e sull’orlo di un pianto.

Ma da dove era sbucata tutta quella gente? Si domandava Alex.

Erano sicuramente già lì quando lui e Charles erano entrati, eppure fino a quel momento non li aveva minimamente notati.

Subito dopo, un forte odore di incenso, come quello che viene utilizzato nelle chiese, invase la stanza.

Charles rimase a bocca aperta. Il bagno, se così si poteva chiamare, era un piccolissimo ambiente maleodorante, dal forte odore di urina. Al posto della porcellana bianca c’era una grata rugginosa che sgocciolava chissà dove, addossata ad un muro ricoperto per circa un metro di mattonelle giallognole coperte di chiazze scure. La vescica che continuava a dolergli prevalse sul senso di nausea che lo assaliva, così si distanziò dal muro e mirò la grata.

Charles tornò velocemente indietro, ansioso di descrivere all’amico la situazione grottesca in cui si era ritrovato.

Sorridendo si sedette accanto ad Alex.

-Non hai idea di che situazione, Alex- disse

-È stata un’avventura arrivare in bagno, ora ti racconto, ma… Hey, perché non hai ordinato anche due whiskey?- Poi fece per chiamare la vecchia.

-Zitto- disse a bassa voce Alex bloccandogli il braccio.

-Bevi veloce e andiamocene-

-Perché? Ma che c’è? Hai una faccia…-

-Guarda che posto allucinante, è da quando siamo entrati che ho una strana sensazione. Senti che silenzio, tutto sembra muoversi a rallentatore- ormai Alex sussurrava a tal punto che Charles faticava a sentire.

-E poi annusa. Annusa l’aria-

-Ma che roba è? Incenso. Incenso da chiesa- anche Charles adesso, guardandosi intorno, perse il sorriso.

-Forse hai ragione te, beviamo e andiamocene-

Entrambi, perfettamente sincronici si voltarono verso l’orbo, che riabbassò lo sguardo.

-E quello? Hai visto come ci fissava? Con quell’occhio… la barista con la gobba, ma dove diavolo siamo?- Charles rabbrividì

Un chiarore alle loro spalle li fece voltare sugli sgabelli. Nell’angolo vicino al tizio ubriaco c’era un piccolo camino in pietra, al suo interno decine di lumini rossi rischiaravano l’ambiente.

-Guarda che roba- Alex indicò con la testa la parete sopra al caminetto. Quasi del tutto spoglia, gli unici pezzi d’arredamento erano una maschera in legno dalla forma allungata e una foto, che ritraeva un caprone sulla cima di una scogliera con l’oceano in tempesta sotto di sé.

-Io me ne vado-disse Charles, -Lascio la pinta a mezzo e schizzo fuori-

-Aspetta, finiamo prima. Cerchiamo di sembrare naturali e tranquilli-

Impossibile, erano come farfalle multicolore in un quadro in bianco e nero.

Improvvisamente un raggio di sole entrò dalla finestra, illuminando il pavimento scuro, quasi nero, di piastrelle ottagonali. Alex e Charles adesso si accorsero anche della strana architettura del posto, che sembrava formare un triangolo irregolare.

Questa luce naturale e inaspettata sembrò comunque rincuorare i due, che dettero una lunga sorsata di birra, come se stessero riprendendo ossigeno.

Subito la vecchia uscì dal banco e claudicante arrivò alla finestra, che tappò tirandone la tenda, poi lentamente ritornò dietro al banco sparendo dalla porticina che dava sul retro. Il locale ripiombò nella penombra, illuminato solo da un piccolissimo lampadario in stile barocco al centro del soffitto, e i volti dei due amici tornarono scuri quasi come il pub.


-Proprio adesso che abbiamo finito di bere e ce ne possiamo andare, la vecchia è sparita- disse Charles

-Ascolta- disse Alex tendendo l’orecchio.

Adesso da dietro la porta, si sentiva flebile una musica. La musica si sentì più forte quando la porta si riaprì dando nuovamente l’accesso alla barista gobba. Lenta e ripetitiva, questa nenia sembrava accompagnare qualcosa, aveva un che di rituale, di magico.

Subito Alex colse l’occasione al volo e pagò le due pinte ad un prezzo davvero basso, mentre l’orbo annuendo alla vecchia si faceva passare una bottiglia da mezza pinta di whiskey. Sembrava che non servissero più le parole tra loro.


I due salutarono e velocemente si diressero verso la porta.

Alex afferrò la maniglia e tirò per uscire. Chiusa, la porta non ne voleva sapere di aprirsi, allora Alex spinse. Niente. Cominciò a tirare e spingere la porta che tintinnava sui cardini sempre con più foga. L’avrebbe completamente divelta se Charles non lo avesse fermato.

-Schiaccia la levetta sopra la maniglia- gli disse.

Alex seguì il consiglio e furono finalmente fuori all’aria, inondati dalla luce del sole. Senza parlare cominciarono a camminare velocemente verso la piazza del paese, mettendo più strada possibile tra loro e il locale.


Dentro il pub l’attività riprese.

La madre suicida con la figlia soffocata nel sonno sarebbero state le prossime a varcare la porta dietro il banco, seguite dall’ubriaco e dalla compagna accoltellata a morte per gelosia.

L’orbo rimase fermo al suo posto, attendendo ignavo il suo turno come aveva fatto per tutta la vita, cominciava a pensare che la sua punizione fosse proprio quella.

La vecchia prese per mano la bambina, seguita dalla madre le accompagnò verso la porta, attraversando la stanza.


D’un tratto Alex e Charles ebbero la certezza che prima o poi sarebbero tornati in quel pub. Non riuscivano a spiegarsi perché ma quella era la certezza più grande che avessero avuto in vita loro.


Dentro l’anticamera la vecchia gobba sorrise tra sé e sé.


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