Allora, fatemi ricordare. Eravamo io, il Tibia, il Cossu, il Nanni e Fantomas. Non vi sto a spiegare le ragioni di questi nomignoli, altrimenti non se ne esce. Tengo solo a precisare che per loro ero e sarò sempre il Gano. A posto così. Si diceva…
Eravamo noi cinque e s’andava una bellezza. Ramino, conchino, scala, ventuno, pokerone, insomma ci si divertiva. Chi aveva l’amaro, chi preferiva il grappino, quattro pacchetti di sigarette e uno di toscanelli. Il tavolo era pronto. Sabato sera, serata lunga, perché il circolo di sabato chiude alle due. Soliti ignoti; i ragazzini al balilla, la televisione accesa ma nessuno che la guarda, la bella Giorgia che serve camparini senza ghiaccio e montenegri nei bicchieri per il martini. Un universo perfetto, circolare, come il disegno di un essere supremo. Pianeti che orbitano con precisione attorno al bancone, comete che appaiono per pochi istanti per poi sparire per sempre alla vista, stelle che nascono e stelle che muoiono. [...]
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