giovedì 19 novembre 2009

- La memoria del sasso - di Dario de Giacomo


















Mi accade così, all’improvviso, di scoprire che la mia casa è un museo di stili scadenti, eppure è ancora familiare, ma opprimente come un abbraccio decrepito.
Poi il buio tracima nelle stanze e avverto la presenza della mia donna.
- Non ho fatto niente io.
Quelle parole di Milena naufragano ad intermittenza sulla mia esasperazione.
Pugno batte carta, la morra del nostro amore.
Lei mi tiene sigillato qui dentro casa, con il silenzio e la pelle.
Ma io vivo superfluo rasente i giorni, perché è una vita che mi assento spesso da me stesso.
Ci sono talmente tanti cassetti chiusi nella mia mente, così zeppi di  rabbia e odio repressi che potrei far esplodere questa palude tra me e lei.
Io cerco di trovare qualcosa che mi tenga tranquillo.
Ma la notte arriva sempre, cala giù fino in fondo allo stomaco e lo riempie di immagini sconnesse e affilate.
Rabbrividisco quando il buio mi sorprende, spiandomi dallo spazio vuoto tra i  mobili. Provo a scappare a piedi nudi sul pavimento gelato, ma annego in quello spazio vuoto, senza luce, dove non c’e’ colpa solo punizione, nessun dolore solo orrore.  La pelle nuda di Milena è una sforbiciata netta nello stomaco, uno scandaglio gettato in fondo agli incubi, che avvolge di oscurità le mie immagini. Forse stanotte non riuscirò a diradarle.
La memoria è un sasso tondo e molti sassi formano un mucchio compatto.
Qualcuno me li ha fatti ingoiare tutti in questi anni, però è strano che questa notte li senta più pesanti.
Milena sta rannicchiata contro la parete, con la testa chinata in avanti diventa piccola piccola.
Le braccia magre sono strette intorno al  corpo, i capelli le nascondono lo sguardo.
La sua innocenza ha uno spessore, ragiona di neri desideri e si struscia pesante, lasciando le sue tracce addosso a me.
La sua ingenuità diventa minuscola, vittima di quella stanza enorme che la contiene.
- Io non ho fatto niente – ripete.
Ma il colpevole non è l’assassino, è la vittima.
Milena ha imparato a resistere senza muoversi. La lapido con i miei sassi e lei si copre il volto con le mani, perché ha paura che possa scoprire qualcosa dentro il suo sguardo.
Anni oscuri, molti anni di dolorose memorie si sfaldano in quel gesto, sgretolandosi un secondo dopo l´altro. Il nostro passato marcisce nero, come un dente marcio che ci ha storditi per mesi ed ora ci solletica, di tanto in tanto, con una fitta estranea.
C´è un lungo istante in cui le parole divampano come la brace, ma salgono verso l´alto in spirali di fumo e scompaiono, portandosi dietro il loro significato.
Sono stata iniziata al sesso con la violenza.
Dentro ogni gesto che fai – le dico – sento che usi la tua vita per disarmare la mia.
Ma era ineluttabile che la sopraffacessero, necessario.
Lei usa il suo sesso con gli uomini come si usa un bisturi, affondandolo dove sono più sensibili, incidendo i loro nervi scoperti e provocando dolore. Sì, molto dolore. Il perverso gioco di Milena, la sopraffazione, una slot machine per guadagnare la loro fiducia: ottengono quello che vogliono, quando lo vogliono. Si avvolge rampicante dentro il loro orgoglio, fino allo spasimo dell’umiliazione. Allora affonda il bisturi ben affilato. Dolore. Poi li umilia con le loro stesse parole, tra le sue mani quelle parole diventano cera liquida che si scioglie sui corpi. Bastarda, la eccita umiliarli. Ma non umiliarli davanti agli altri, no, deve umiliarli davanti a loro stessi. Ride quando si torturano le loro virilità inermi per lei.
Ora i sassi mi pesano nello stomaco, mi fanno male.
La notte sa bene come cucire insieme le immagini dentro la mia testa.
Una depressione fredda nelle viscere, lei che sculetta su tacchi altissimi e tutti la guardano.
Milena guarda gli uomini negli occhi, non li spia, li guarda affamata.
Sto gelando. Sussurra frasi ambigue gli altri, a me invece sorride, con quel sorriso che mi inchioda ad una colpa. Una colpa mia, mia, mia!
Prima Milena ha telefonato a qualcuno, la sentivo ridere forte, sguaiata.
Fa caldo ora. Ascolto la sua voce e sto meglio, ma poi odierò il suo tono mellifluo. Lo so. Sempre uguale.
Carta batte pugno, la nostra morra d’amore.
La colpa di Milena è vivere. Vivere ingenuamente in un corpo insinuante.
Un’anima sottile dentro una carne enorme e nera.
Il suo movente, forse, l’ingenuità.
Ho voglia di farla finita, con questa notte e con tutte le altre.
Le mie mani stringono la sua gola, è calda, pulsa ancora sensualmente.
Si contorce come se danzasse e ancora non riesco ad uccidere la sua ingenuità.
Gli occhi neri sbiancano appena, liquidi di una voglia nuova.
Non ho fatto niente, io – lo dice di nuovo.
Lo so.
Ora lo so davvero.
Buonanotte amore mio.

Dario de Giacomo

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