Ubriaco di sonno. Le palle gonfie di voglia. Accelera, stringendo le cosce. Si gonfia contro la cucitura dei jeans. Lui accompagna la sua donna al portone, con la fretta dell’eccitazione. Lei lo trattiene. Lui lo sa. Sente che la sua donna vibra a labbra umide.
Lo attira contro il suo corpo e lui ha sempre più fretta. Copre la distanza tra il suo corpo e quello della donna con le frasi consuete dell’amore stanco. Finge di essere ancora là, con lei, ma gli occhi lucidi tradiscono il desiderio. La donna li avverte su di lei, quegli occhi però sono altrove, guardando immagini diverse. La sua tenerezza dolciastra, con lei, prova il fastidio del corpo di donna che lo trattiene, mentre vorrebbe andare. Nell’auto c’è ancora l’odore dolce di lei sul sedile vuoto. La ama teneramente e si accarezza i coglioni duri, da solo. Il vuoto nero nello stomaco è angoscia e distanza. Un mostro nello stomaco gli prosciuga la carne di tutti gli umori.
Si spalanca nello spazio freddo della sua camera da letto. Anche stanotte, come ogni notte si abbandona al mostro. Compie i gesti rituali della sua voglia artificiale che inzuppa i riquadri geometrici del tappeto turco. Il desiderio svuotato assume il contorno di una macchia nera e umida. Trattiene il respiro, respirando nel mostro. Il tempo è un’illusione che inganna gli amanti, solcando di rughe il muscolo cardiaco. Si siede a gambe larghe, liberando le mani. Lo spazio è un’inganno che illude i sensi, attirandolo nella rete, davanti allo schermo illuminato: il desiderio solo una manciata di pixel che formano figure di carne e byte. E’ l’anacoreta che rinuncia al mondo, tentato dal mostro che si annida nelle pieghe sporche del suo stomaco. L’immagine respira sullo schermo. Poi un’altra immagine e un’altra. L’anacoreta, da solo, prega a mani giunte sul cazzo. Si estenua per ore, senza cedere alla piena. Gli umori fluiscono, rifluiscono sotto la superficie squadrata della scrivania di legno. Rimanda la soddisfazione, rimanda da sempre, ancora una volta stanotte. Puzza di uomo, sguazzando dentro il sapore che sale dalle mani lisce. Digrigna i denti temendo che si spezzino, quel rumore nessuno lo sente là fuori. Nessuno vede le immagini che vedono i suoi occhi. La sua donna vive dolciastra nel mondo e lui gronda miele. Ma il mostro nel suo stomaco nessuno deve vederlo, vive nel riquadro smaltato dello schermo. Ogni notte più forte, reso più impudente e osceno dalla frequentazione. Si fa abitudine tra le sue mani che stringono forte le immagini. Lui vomita parole sconosciute, con rabbia, scrivendo veloce e dislessico. Ogni notte la sua donna si allontana, e lui fa la puttana in chat, temendo che lei lo sogni ancora. Albeggia appena quando sborra lividamente. Freddo e umido e rancore di mostro. Barcolla, spegnendo le luci dello schermo. Si rilassa nel letto, innamorato della sua donna, dolcissimo nel sonno. Si avvicina di nuovo il giorno, lui spargerà miele dentro le sue braccia. Sente il puzzo del mostro e ne prova ribrezzo, desiderando un bacio leggero a labbra strette. Tornerà la notte? Un po’ più distante di ieri? Tornerà e sarà piu buia!
di Dario de Giacomo
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