sabato 12 settembre 2009

CLARISSA

La notte che uccisi Clarissa scoprii l’irresistibile fascino della morte. Ma prima di raccontarti questa storia, mia cara lettrice, desidero che tu conosca una grande verità: più ti è vicina la persona reclamata dalla nera signora, più meravigliosamente profondo è l’abisso in cui la tua anima vorrebbe abbandonarsi.
L’omicidio di Clarissa incominciò per gioco. Glielo dissi pure, mentre possedevo il suo corpo minuto e spigoloso sul tavolo della cucina. Nella luce morbida degli spot, ricordo i suoi seni appena accennati, come quelli di una tredicenne, la sua bocca vorace, i suoi occhi con quel taglio vagamente orientale, sopra un nugolo di deliziose lentiggini.
“Vienimi dentro!” mi urlò. Ed io, trascinato dall’onda irrefrenabile dell’orgasmo, le risposi “Prima o poi ti uccido, Clarissa!”
Il giorno dopo mi portò il caffè a letto, ed era più dolce del solito. A me basta una puntina di zucchero per ammazzare l’amaro, invece ne aveva messo un intero cucchiaino. Appena lo assaggiai mi venne la bizzarra idea che avesse paura e che inconsciamente avesse zuccherato il caffè, pensando così di potere addolcire anche me.
“Davvero mi vuoi uccidere?” sghignazzò lei, arruffandomi con la mano i capelli.
“Difesa personale” gli risposi. “Ti ucciderò prima che tu uccida me…” Poi risi, e quella fu la mia prima risata macabra. Col tempo sono riuscito a perfezionarla, e adesso ne vado quasi fiero. Lei rise di rimando, ma non riuscì a nascondere lo sforzo che faceva a rimanere allegra.
Il gioco continuò per una settimana, poi lei cedette. Una sera mi chiese di smetterla con gli scherzi sulla morte perché la mettevano a disagio. Io le dissi “va bene” e non ne parlammo più. Ma intanto nella mia testa l’idea aveva già assunto proporzioni ben più realistiche di un semplice gioco.
Il pensiero più affascinante fu la scelta dell’arma. Come avrei rubato la vita della piccola Clarissa, gracile come un fuscello, una bambola di pelle candida profumata di fiori di pesco? Il coltello lo trovai subito troppo scontato, l’arma da fuoco troppo volgare e il veleno assolutamente borghese. Mi ci volle un mese per prendere una decisione, ma posso dire adesso di aver fatto bene i miei calcoli. Quando chiudo gli occhi posso ancora avvertire sui palmi delle miei mani il viscido calore dei suoi liquami, rievocare il profumo dei suoi organi, rimirare il cremisi delle sue interiora, un’esperienza davvero straordinaria.
L’altro dettaglio che mi premeva era il momento, perché richiamare la morte è una specie di atto liturgico. Il movente in realtà è assolutamente irrilevante, ma il modo e il tempo, così come il luogo, sono elementi essenziali per portare a termine il rituale in modo soddisfacente. Il luogo lo conoscevo da tempo; il letto in cui ci eravamo amati per più di un anno. Mancava solo il tempo…
Fu lei a porgermi la data su un piatto d’argento.
“Amore, cosa facciamo venerdì?”
“Venerdì? Cosa succede venerdì?”
“Ma come che succede? È il tuo compleanno!”
“Ah, già… lo dimentico sempre…”
Ma quella volta non me lo dimenticai…

Cena a base di pesce, antipasto freddo servito su un letto di ghiaccio tritato, risotto all’astice e lime, spiedi di calamari e gamberoni alla brace con radicchi ed erbe aromatiche. Un pinot grigio per annaffiare ed una bottiglia di Berlucchi per festeggiare. Lei vestita di classe, col nero che le dona sempre, io in jeans e camicia, nonostante il ristorante di livello. Non ho mai sopportato i completi e le cravatte…
Usciamo sazi e lievemente ubriachi. Fumo la mia cicca prima di entrare in auto, lei manda due messaggi col cellulare, poi mi chiede se voglio che guidi lei. Le rispondo di no e le apro la portiera, come un vero gentleman. È davvero bella…
Le chiedo del mio regalo e lei mi guarda con un sorriso malizioso negli occhi. Mi dice che ce l’ha indosso e che me lo mostrerà tra poco. Al provocante invito rispondo con fare lento, lasciandomi scorrere addosso il momento. Non ho fretta di arrivare a casa. Ho tutta la notte a mia disposizione e non voglio commettere errori. Ai semafori gialli rallento e mi fermo, evitando scrupolosamente di superare i limiti di velocità. Lei intanto gioca di nuovo con il telefonino.
«A chi scrivi?» le chiedo.
«A Linda. Domani andiamo a fare shopping…»
«In centro?»
«Si…»
No, Clarissa, domani sarai alla corte della nera signora, penso io, stringendo più forte il volante in similpelle della C3.
Saliamo nel suo appartamento, che è stato anche il mio per quasi quattro mesi. Convivere è meraviglioso. Solo vivendo sotto lo stesso tetto riesci veramente a conoscere qualcuno, o comunque una parte sostanziale di questo qualcuno. Vedere Clarissa lavarsi i denti, sentirla imprecare per una macchia sul pavimento, annusare i suoi vestiti sporchi, trovare i suoi capelli dalla vasca da bagno, sono state emozioni molto più intense delle scopate che facevamo nei primi tempi, quelle di puro abbandono. Il sesso non mi è mai veramente interessato, anche se non gliel’ho mai dato a vedere.
Lei s’infila in bagno mentre io mi verso un goccio di J&B. Mi trovo in uno stato quieto, fluido. Sento che i movimenti usciranno fuori da soli, basterà lasciar fare al demone che ho coltivato negli ultimi mesi, come una bestia affamata prigioniera dentro la mia anima. Credo che alla fine ce l’abbiamo tutti. La differenza tra me e te, carissima lettrice, è che io non ho più paura di aprire la sua gabbia.
Metto su un po’ di lounge e mi distendo sul letto, vestito e con il bicchiere in mano. Per adesso faccio fare a lei. Devo conservare le energie per ripulire la stanza, quando tutto sarà finito. Lei esce dal bagno con indosso un completino blu che riesce appena a mostrare le sue forme, tanto è minuta. Si avvicina, mi leva il bicchiere di mano e incomincia a baciarmi. Le sue mani armeggiano abilmente i bottoni della camicia, ma quando si spingono più giù le blocco. Continuiamo per un po’ così, poi le sussurro: “ti vá di fare un giochino?” Mi guarda sorpresa, è una cosa nuova per noi, ma oggi è il mio compleanno e pare si senta quasi in obbligo di dirmi di si. Scendo dal letto e frugo nell’armadio sotto i miei vestiti. So bene cosa cerco; due paia di manette. Ce le ho messe la sera prima, insieme a qualcos’altro...
Torno da lei e le leggo un velo di paura negli occhi, ma io la tranquillizzo con un bacio e la promessa di un piacere nuovo. Con movimenti dolci e lenti l’aiuto a posizionarsi nel mezzo al letto, le passo attorno ai polsi il freddo metallo dei ceppi, e infine la fermo alla testiera di ferro battuto. Inizio a baciarla, scendo giù con esperienza, sosto per un po’ attorno all’ombelico, poi le sfilo delicatamente le mutandine. Dopo averla provocata abbastanza, le affondo la bocca nella vagina, iniziando a muovere dolcemente la lingua. La sento gemere, dimenarsi, salire fino alle alte vette dell’orgasmo. Il suo urlo di piacere precede di un attimo le contrazioni muscolari del corpo e delle sue gambe, strette attorno alla mia testa. Adesso tocca a me, penso.
«Lo voglio in bocca…» mi dice.
«No aspetta, ho un’altra idea…» le rispondo. Poi vado a prendere la corda, il nastro adesivo e le cesoie...

La notte che uccisi Clarissa scoprii l’irresistibile fascino della morte. Fu lei la prima, e come in amore, la prima non si scorda mai. Adesso hai capito, mia piccola lettrice, perché nel mio guardaroba conservo ancora la sua pelle, liscia, candida, profumata di fiori di pesco.
Su tesoro, smettila di tremare. È arrivata l’ora del rituale…

Jonathan Macini 2009

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