giovedì 15 aprile 2010

Soltanto dieci minuti

“Non sono nervoso; solo mi pare tu abbia messo sulle labbra un rossetto troppo vistoso, per esempio…”, aveva detto lui con parole tese, senza guardarmi. Io ero rimasta in silenzio, continuando a camminare al suo fianco e cercando come di mordere sulla mia bocca quel colore che a lui aveva dato tanto fastidio. Quasi arrancando per cercare di stare al suo fianco, cercavo di portarlo su argomenti leggeri, che lo predisponessero bene a quella serata. “Non è colpa mia se abbiamo dovuto parcheggiare la macchina un po’ troppo lontano…”, avevo detto sbagliando, ma con tono di voce dimesso. In realtà quei nostri amici si facevano grandi ad abitare un appartamento nel pieno centro storico della città, sicuramente invidiabile per certi versi, però scomodissimo per le cose più pratiche.

Continuavo a tacchettare con le mie scarpe alte su quel lastricato sconnesso scrutando il marciapiede a ogni passo per evitare incidenti, e intanto cercavo le parole più adatte almeno per strappargli un sorriso: “Chissà se a questa festa ci saranno anche i Dallai?”, dissi quasi tra me, tanto per dire, allungando la frase come ad una coda divertita della mia voce, che stesse a significare che trovavo quei due così buffi da essere contenta se ci fossero stati. Lui aveva subito rallentato lievemente l’andatura come pensando qualcosa. Poi aveva detto: “Speriamo proprio di no: in genere lui inizia a parlare del suo lavoro e non la finisce per tutta la sera…”. A me di solito non interessava affatto in occasioni di quel tipo dover ascoltare anche degli argomenti triti e noiosi, anzi mi era sempre sembrato un conto inevitabile da dover in qualche modo pagare: erano altre, anche se normalmente pochissime, le cose di una certa importanza che venivano fuori, ma soltanto così, con quei contatti sociali e con quello scambio di idee potevano emergere elementi positivi, conoscere da informazioni di prima mano cosa succedeva, cosa facevano, come vivevano coppie del tutto simili alla nostra.

“Ma tu hai idea di quanti invitati saremo a questa serata?, avevo aggiunto, tanto per lasciarlo un po’ sciogliere. “Con le manie di grandezza che hanno in quella casa, sicuramente saremo in numero maggiore del necessario, immagino…”, aveva detto lui con tono polemico. “Però a me basta che non si siano messi in testa di farmi mangiare del sushi o altre schifezze alla moda del genere, e che soprattutto si possa venir via ad un’ora decente”, aveva aggiunto tutto di seguito, piazzando già i margini della sua soddisfazione per tutta la festa. Pensavo tra me, al contrario, che il periodo per quel ricevimento non poteva dimostrarsi maggiormente propizio per noi: avevamo prenotato i biglietti per una bella vacanza da lì a breve, e ne avrei sicuramente parlato con tutti; e poi la nostra decisione in un futuro a breve scadenza di avere un figlio, era per forza un altro argomento che mi metteva molto a mio agio. “Quindi non hai neanche intenzione di dire che ti hanno promosso in ufficio?”, avevo detto ben sapendo di lasciar scaturire il suo orgoglio. “Beh, si…”, aveva detto lui, come lasciando mostrare che non era sua intenzione avere segreti. “Sempre se viene fuori l’argomento, però…”.

Restammo in silenzio per qualche secondo, ambedue pensando alle ultime avvertenze di cui tener conto, poi io dissi con voce decisa: “Mi raccomando…”, parlando con la coscienza di renderlo felice; “se vedi che non riesco a tirarmi fuori dagli argomenti di qualcuno terribilmente noioso, interrompi pure le chiacchiere con una scusa qualunque, e tirami fuori forzando le cose. Naturalmente mi ricorderò anche io di usare lo stesso stratagemma con te…”.

Ma fu in quel punto di strada, quando i due ormai erano quasi arrivati, che qualcosa si mise nel mezzo. Lui inciampò in un piccolo ostacolo sul marciapiede, cercò il braccio di lei per sorreggersi ma non lo trovò in quanto lei era rimasta appena più indietro; fece due passi in modo scomposto ormai barcollando, cercò di mettere le mani in avanti, e infine andò a rovinare sul gradino di pietra di un palazzo settecentesco. Il polso cadendo fece un rumore sinistro e il dolore che lui disse di sopportare era fortissimo. L’ambulanza arrivò solo dopo dieci minuti.

Bruno Magnolfi (immagine di Giulia Tesoro)

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