E’ sotto al mio piede sinistro tutto il segreto. Fin da quando ero piccolo si era rivelata una strana macchia nella pianta di quel piede, dapprima appena accennata, poi con gli anni sempre più chiara, che a dire la verità non mi aveva mai dato fastidio, anzi, mi aveva spesso fatto ringraziare la natura per non averla piazzata in parti del corpo ben più vistose, ma che verso la maggiore età era andata ancora trasformandosi, assumendo poco per volta i contorni della faccia di qualcuno, un’espressione arcigna di un essere che pareva rivelarsi così. A quella età già da tempo tenevo ben nascosto quel mio segreto, innanzitutto non parlandone mai con nessuno, e quindi neanche nei documenti di identità era riportata quella mia caratteristica; e in ogni caso, se qualcuno durante le mie attività aveva visto la macchia, io ero sempre stato pronto ogni volta ad inventarmi che era semplice inchiostro molto lento a sparire dalla pelle, pestato per sbaglio mentre camminavo per casa con i piedi nudi. Neppure i miei genitori mi avevano più chiesto niente, visto che alla fine, oltre al colore della parte inferiore del piede, non avevo mai avuto altri disturbi, ma negli ultimi tempi mi ero sempre più reso conto che quella macchia scura era qualcosa di più di una semplice macchia. Mi ero osservato quasi ogni giorno il piede sinistro, appoggiando a terra nel bagno di casa, con la porta ben chiusa a chiave, uno specchio pulito in una zona del pavimento fortemente illuminata, e mi ero così reso conto che l’espressione della faccia raffigurata sulla mia pelle andava mutando. L’impressione era forte, camminando sentivo prepotentemente quella presenza sotto di me, forse dentro di me, e in qualsiasi momento della giornata, ogni volta che appoggiavo il mio piede sinistro per terra, mi ritornava alla mente, lasciandomi impossibilitato ad ignorarla. Non riuscivo ormai più a capire se quello che entrava poco per volta dentro di me fosse un male od un bene, fatto sta che non mi sentivo come gli altri, c’era qualcosa in cui differivo da tutti. Quella faccia era un essere che agiva dentro di me, lo avvertivo, ne coglievo a ogni passo la presenza inquietante, e la sua influenza era sempre più netta, ogni giorno più forte. Spesso i miei piedi camminando mi portavano dove volevano, senza che io potessi far niente per imporre la mia volontà, e sempre più difficile diventava la mia vita con gli altri: ero continuamente ad inventare delle scuse, a fingermi smemorato, depresso, sbadato, ma ogni cosa oramai mi spingeva verso una solitudine che era un rifugio più che una aspirazione. Quella faccia era lì, era qualcuno, con la sua espressione beffarda, ormai non importava neppure che la guardassi dentro allo specchio: era dentro di me, chiudevo gli occhi e mi appariva evidente, stagliandosi chiara nel buio. Negli ultimi tempi iniziai sempre più a pensare che quella fosse la faccia della mia vera persona, e quando ero solo avevo preso a parlare con lei e a interpretare le risposte contorte che arrivavano direttamente nella mia testa: sempre più mi trovavo a compiere atti che nei tempi passati non avrei mai preso in considerazione di fare, ma adesso neppure mi ponevo il problema, era così, sapevo dentro di me che era impossibile oppormi. Ma una sera, mentre passavo lungo una strada periferica, vicino a un cantiere dove degli operai avevano acceso un falò con dei grossi pezzi di legno, mi sentii attratto da quel loro fuoco, da quelle braci rosse e scoppiettanti; la faccia sotto al mio piede mi indicava di andare vicino a quelle fiamme, quasi di adorarle, come fosse un elemento della mia natura, ma io fui svelto, più di qualsiasi pensiero divergente: tolsi la scarpa e col mio piede nudo andai a pestare quelle braci infuocate, cancellando quella faccia dal mio piede ed annullando la sua espressione beffarda.
Bruno Magnolfi
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