giovedì 12 novembre 2009

Il seme dell'odio: Capitolo V -Un paio di birre-






Un romanzo breve di:
Jack Lombroso & Jonathan Macini

Ogni settimana un capitolo tutto per voi,
qua su Novocaina
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CI TENIAMO A PRECISARE CHE I CONCETTI ESPRESSI NEL RACCONTO "IL SEME DELL'ODIO" NON RISPECCHIANO NE' LA MENTALITA' DEGLI AUTORI DEL BLOG NE' TANTOMENO QUELLA DEGLI AUTORI DEL RACCONTO.
RITENIAMO CHE OGNI FORMA DI RAZZISMO SIA TERRIBILE E INVOLUTIVA PER TUTTA LA RAZZA UMANA.
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- Un paio di birre -
Due Budweiser schiumanti e la faccia di un vecchio amico. La serata perfetta.
- Quando sei rientrato? - gli chiedo, buttando giù un sorso di birra. Ne avevo proprio bisogno. La scaramuccia coi negri mi ha fatto venir sete.
- Oggi, direttamente dalla base. E te? -
- Ieri. Sai nulla di Bud? -
- È sempre laggiù. E chi lo muove quello! -
Per un minuto ci lasciamo percuotere dalla musica. Non che non ci sia niente da dire, ma sono contento di trovarmi insieme a lui, e voglio godermi il momento prima di parlare di quella cosa. Ci guardiamo un po’ intorno. Sappiamo di essere diversi dagli altri. Dall’abisso non si torna indietro…
- È successo niente? - domando. Sì, perché qualcosa deve essere per forza successo. No, non i negri. I negri sono stati solo un incidente di percorso. Parlo del rituale, quello delle sei, il segreto che ci siamo portati quaggiù, in questa fogna di città.
- La spiaggia… - Jeremy mi risponde con lo sguardo abbassato. Non gli piace questa storia. Non lo biasimo, ma l’unica soluzione è lasciarsi andare.
- Dormivi? -
- Sì ho dormito tutto il pomeriggio -
- Anch’io, o almeno è quello che ricordo… Perché la spiaggia? -
- C’era della sabbia attaccata alle mie scarpe -
Cerco di ricordare. Sì, forse ha ragione. Sabbia sul tappetino d’ingresso. La spiaggia…
Uno stronzo si siede accanto a noi. Si chiama Matt Qualcosa. Mi conosce da un paio di anni, cioè conosceva il vecchio Norton. Giocavamo a football insieme nella squadra del liceo. Cazzo, che palle!
- Allora sei rientrato da quell’inferno! Dai che ti offro un giro… - Matt Qualcosa ordina tre birre e incomincia a scassarci il cazzo. Lo sopportiamo. Non so come ci riusciamo ma rimaniamo ad ascoltarlo, fino a quando si accorge che le sue chiacchiere non sortiscono alcun effetto. Avverto il suo disagio. La nostra presenza gli diventa intollerabile. Un attimo dopo trova un preteso per lasciarci. Menomale…
- Comunque domani sapremo cos’è accaduto - dichiaro io, scolandomi l’ultimo sorso.
- Già. Per poco non mi hanno beccato all’aeroporto, ieri, in Germania. Maledette telecamere! - Jeremy continua ad osservare la schiuma nel bicchiere. Mi domando se ce la farà ad andare avanti, se in futuro potrò fidarmi di lui.
- Non è stato facile neanche per me. Ho usato una toilette. Azzardato, comunque nessuno ci ha disturbati - gli confesso, cercando di rassicurarlo.
- Sai chi era? -
- Un vecchio tedesco. -
- Come lo hai saputo? -
- Ne parlavano alla base, il giorno in cui ho fatto rientro. Nessuno mi ha visto. Ricordo solo di essermi svegliato con la testa appoggiata al finestrino dell’aeroplano. Comunque da oggi sarà più facile, vedrai…-
Sì, confidavo nel fatto che la città offrisse carne in abbondanza, nonché una vasta selezione di scenari necessari per soddisfare i nostri bisogni. Luoghi appartati, magazzini vuoti, vecchi container, e naturalmente la spiaggia. Chilometri e chilometri di costa, splendore e vanto della nostra solare cittadina. Eire, un buco di culo accanto all’acqua.
- Che ti è successo? - Solo adesso si accorge del sangue che mi inzuppa la manica della giacca.
- Niente, dei fottuti negri… - poi ordino un’altra birra. È una bella serata, dopotutto.


Eravamo furibondi. La storia del convoglio, della casa con quei due vecchi del cazzo, la missione a puttane… Insomma, neanche un negro da massacrare. Bud ci era rimasto proprio male. Non si poteva tornare al campo così, non senza un po’ di sano strapazzo, tanto per ammazzare la noia.
Lo sento nell’aria, è uno di quei giorni. Jeremy ride come un matto. Io siedo davanti, accanto al sergente Burt. Non è uno dei nostri e Bud, che gli sta proprio dietro, lo sa. Ma la jeep la deve portare lui ed è sempre lui quello più alto di grado. Signorsì, signornò, e stronzate del genere. Ma come si fa, penso. Intanto guardo negli occhi Bud, che è su di giri come non mai. Sono le pasticche, quelle che rimedia dal messicano, drogato del cazzo. Chissà con cosa la taglia quella roba. Chissà dove la prende. Poco importa, l’essenziale è che facciano il loro dovere. Ne ho prese due anche io prima di partire. Perché è sempre bene prenderle prima di iniziare le danze.
- Brutto stronzo! - urla Bud indicando il marciapiede. Stiamo attraversando la periferia di Falluja. Catapecchie e polvere. Una merda.
- Che succede? - domanda Burt, tirando il freno.
- Quel ragazzino. Quello è il bastardo che mi ha mostrato il dito, due giorni fa. Io lo faccio secco… -
- Calmati Bud, dai. Torniamo al campo… - Burt reinserisce la marcia.
- Calmati un cazzo! - Neanche io riesco ad anticipare quella follia. Un colpo alla nuca e Bud fa saltare le cervella al sergente. Jeremy rimane di sasso, poi incomincia a ridere come un cretino. Io mi scaravento fuori, seguito dagli altri due. Le danze hanno inizio.


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