domenica 8 novembre 2009

Il seme dell'odio: Capitolo IV -Pulizia-



Un romanzo breve di:
Jack Lombroso & Jonathan Macini

Ogni settimana un capitolo tutto per voi,
qua su Novocaina
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CI TENIAMO A PRECISARE CHE I CONCETTI ESPRESSI NEL RACCONTO "IL SEME DELL'ODIO" NON RISPECCHIANO NE' LA MENTALITA' DEGLI AUTORI DEL BLOG NE' TANTOMENO QUELLA DEGLI AUTORI DEL RACCONTO.
RITENIAMO CHE OGNI FORMA DI RAZZISMO SIA TERRIBILE E INVOLUTIVA PER TUTTA LA RAZZA UMANA.
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- Pulizia -
Il sogno si dirada lentamente. Effetto sfumatura, come solo un bravo regista riuscirebbe a fare. Mia madre mi sta chiamando dal fondo delle scale.
- Tesoro, è pronto in tavola - È pronto in tavola... Si certo. Arrivo.
Ancora notiziario, quello delle otto stavolta. Adesso c'è un uomo che parla composto. Parla dei ragazzi che sono ancora laggiù, in mezzo alla polvere e alla merda di cammello. Mi accorgo che non riesco a mantenere l'attenzione sulla tv. Il pensiero corre veloce e si mischia ai ricordi. Mi sembra quasi di poter sentire ancora l'odore della carne bruciata, e l'arabo che grida mentre sparo nel culo di sua moglie.
Basta. Scuoto la testa come servisse a dimenticare. Mio padre tiene gli occhi puntati sul televisore, mia madre invece se ne accorge.
- Cosa c'è tesoro? Non ti senti bene? -
- Niente, è tutto apposto. Senti mà, io non ho fame. Vado a fare due passi. Ci vediamo più tardi -
Sento le voci che si confondono, mentre esco di casa.
- Povero piccolo, chissà cosa gli hanno fatto passare laggiù - È mia madre che mugola per il suo piccolo. Sarei contento se avesse visto cosa è successo alla coppia di beduini. Sarei contento di smerdargli gli occhi di pura realtà. La realtà che puzza di cordite.
Rispondo al cellulare che squilla, mentre continuo a guidare verso il bar. È Jeremy; che ha voglia di vedermi per una bevuta insieme. Jeremy abita a pochi chilometri da casa mia. Ci conosciamo dall'asilo; siamo cresciuti insieme. Ci siamo fatti la prima birra insieme, mentre sbirciavamo dalla finestra che dava nello spogliatoio femminile della scuola. La prima canna d’erba ce la fumammo insieme nascosti sotto le gradinate del campo da football. Ci siamo anche arruolati insieme, Jeremy ed io.
Arrivo al bar e parcheggio sul retro. Ho scelto un posto che non è frequentato da amici e compagni di scuola. Non ho voglia di vederli, di dover subire le pacche sulle spalle e dover raccontare come me la passavo nel deserto. Teste di cazzo, tutti quanti. Solo a pensare a quelle facce belle distese nell'annuario scolastico, mi sale una rabbia incontrollabile. Non so perché, ma sono certo che potrei sparare in fronte ad ognuno di loro senza la minima esitazione. Non chiedetemi perché ce l'abbia tanto con loro, è solo che certe cose le capiscono solo quelli che ci sono stati. Quelli che hanno visto. E poi c’è dell’altro. Ve ne parlerò presto…
Mentre scendo dalla macchina la rabbia continua a salire. Sbatto forte lo sportello e calcio lontano la lattina vuota che mi ritrovo tra i piedi. Questa va a finire in mezzo ad un gruppetto di tre negri. Loro si girano e cominciano a fissarmi. Portano vistose catene al collo. Marche famose stampate sulle magliette di due taglie più grandi. Uno di loro fa un passo avanti e stringe il cavallo dei pantaloni tra le mani. Continuano a fissarmi... Le tre scimmie.
Mi chiedo che cazzo ci stiamo a fare laggiù nella merda, se per le strade di casa nostra devo ancora vedere questi residui di ghetto. Queste bestie randagie, più adatte ad uno zoo che a questa società. Spiegatemi un po' perché dovrei permetterlo. Perché, noi cittadini liberi, dovremmo permettere a questa feccia di infestare le strade.
Non me ne accorgo ma lo dico ad alta voce, avvicinandomi lentamente. Il più alto di loro continua a venirmi incontro. Gli altri due lo seguono dappresso.
- No, bastardi... Non vi permetto di fare i cazzi vostri nelle strade in cui sono cresciuto. Tornate nelle fogne! - Calcio forte all'altezza della rotula, come mi hanno insegnato. Il negro si inginocchia urlando di dolore. Con un balzo sono su quello di destra. Faccio scivolare la mano in tasca e il contatto con il manico d'osso mi riporta all'infanzia. Il coltello da scuoiatura che mio padre mi regalò da ragazzo, quello che usavo per andare a caccia di cervi insieme a lui, adesso è saldo nella mia destra. Un gesto rapido, la lama sembra disegnare una scia nell'aria. La seconda scimmia cade all'indietro tenendosi la faccia. Il terzo tenta di scappare, lo inseguo e in poche falcate lo raggiungo. Sento i muscoli delle gambe rispondere al mio ordine. Li sento reagire istintivi, pronti a compiere il loro dovere. Pianto il coltello con forza sotto la base del cranio, mentre gli tiro indietro la testa. La bestia cade e una macchia scura si allarga sotto di lui. Torno dagli altri due. Quello alto è ancora in terra e si tiene la gamba.
- Sei una bestia schifosa. Lo sai vero? La tua razza si espande come bubboni infetti. Luridi parassiti vi attaccate a questa società succhiandone la linfa. Quella troia di tua madre non ha fatto altro che aggiungere germi e allargare l'infezione quando ti ha cagato fuori. Lo sai... EH?! -
Gli monto con tutto il peso sul ginocchio spezzato tirandolo a me per i capelli.
- Lo sai vero? Eh stronzo?! Dillo... Dillo che tua madre è soltanto una vacca infetta... Lurido bastardo -
Lui annuisce, comincia a singhiozzare.
- Allora? Dov'è finito il gangster del ghetto... eh pezzo di merda! Avanti dillo... Cosa cazzo è quella negra di tua madre? -
Lo stronzo piange ancora di più e io per risposta carico altro peso sul suo ginocchio. Lui urla un po', poi stringe i denti e comincia a mugolare.
- È una vacca - dice piano.
- Cosa? Che cazzo hai detto, negro? Non ho sentito... Cosa cazzo è tua madre? -
- È una vacca - ripete più forte - È una vacca infetta -
- Esatto cioccolatino... È una vacca negra infetta... Beduina del cazzo -
Il taglio netto alla gola comincia a zampillare sangue, sempre più abbondante, fino a somigliare ad una cascata scura. Gli lascio i capelli e lui cade all'indietro come una marionetta senza fili. Mi avvicino all'ultimo. La prima coltellata è passata di traverso sull'occhio. Lui geme ruotando la testa come se fosse stordito dalla droga. Un breve sguardo. Lo fisso nell'unico occhio, che sta ruotando freneticamente dentro l'orbita. Sento i suoi denti rompersi sulla punta dell'anfibio. Il secondo e il terzo calcio sembrano incassarlo nell'asfalto. Il quarto... Il quinto... Il sesto... Continuo e continuo ancora. Il settimo calcio sulla bocca sembra finalmente ucciderlo. Pezzetti bianchi galleggiano in una pozza rosso scuro.
Le note di Walk dei Pantera suonano forti anche all'esterno del locale. La musica ha coperto le urla della mia pulizia. Faccio il giro ed entro dalla porta principale. Il locale è pieno e Jeremy mi saluta dal tavolo più lontano.




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